Libro: Lavorare ed Essere più Produttivi Deep Work
Deep Work, un libro di Cal Newport che ho trovato molto interessante e di cui ti consiglio la lettura.
Cal Newport è un professore associato di computer science alla Georgetown University, relativamente giovane (è nato nel 1982) è molto conosciuto soprattutto al di là dell’oceano per alcune pubblicazioni in ambito crescita personale.
Nota: questo libro non è mai stato tradotto in italiano, ma questa limitazione non deve scoraggiare, il libro è scritto in un inglese abbastanza semplice ed un po’ di allenamento su questa lingua fa sempre bene.
Scopo principale del libro è quello di spingere il lettore ad una consapevolezza del lavoro da affrontare, dando relativa importanza a tutti i segnali che ci disturbano 24 ore al giorno (notifiche, e-mail, messaggi etc.).
Cal Newport in Deep Work spiega molto bene e con esempi ricavati da studi scientifici che è necessario acquisire la capacità di concentrarsi su un unico compito alla volta e di farlo senza distrazioni.
Solo in questo modo sarà possibile lavorare meglio e conseguire risultati di qualità in un tempo impossibile da ottenere se non si presta la necessaria ed indispensabile concentrazione al compito selezionato.
TEMI PRINCIPALI DEL LIBRO E PIETRE MILIARI DEL LAVORARE MEGLIO:
- Come il multitasking rende meno produttivi
- Come approcciarsi alla produttività;
- Come focalizzarsi su un solo compito alla volta;
Il multitasking e la distrazione sono i nemici della produttività.
Molti studi dimostrano che passare continuamente da un attività all’altra (anche solo alternarsi tra due) ci rende meno produttivi, in quanto la nostra mente fa fatica a scollegarsi immediatamente da un compito per buttarsi su un altro.
Meglio piuttosto terminare il primo compito, eventualmente staccare per qualche minuto e poi gettarsi a capofitto sul secondo (vedi anche la tecnica del pomodoro).
A tal proposito, nel libro si cita lo studio della professoressa Sophie Leroy, dell’Università del Minnesota. La studiosa nel 2009 ha condotto una ricerca utilizzando due gruppi di controllo e facendo praticare al primo due compiti alternati ed al secondo in sequenza.
Il risultato?
Ovviamente il primo gruppo è rimasto molto concentrato sul primo compito ed ha eseguito il secondo con meno precisione, impegnando anche un tempo maggiore per completare il tutto.
Altro uso del multitasking, anche se non in maniera consapevole, è dato dalla continua presenza di applicazioni o device e le loro notifiche non silenziate/disattivate.
Ad ogni segnale che ci distoglie dal nostro compito principale (anche se ad esempio le notifiche non dovessero venire lette ma comunque notate) corrisponde una perdita di concentrazione ed un relativo tempo e sforzo per tornare a dedicarsi al compito primario.
Strategie ed approcci citati dall’autore per concentrarsi al 100% in un lavoro:
Approccio monastico: eliminazione di tutte le possibili fonti di distrazione, dall’inizio alla fine del compito.
Approccio Bimodale: definizione di un periodo di isolamento di lunghissima durata. Poi staccare completamente al termine dello stesso considerando il tempo rimanente come libero.
Per finire il mio preferito e quello che ritengo più attuabile:
Approccio ritmico: si definiscono dei blocchi di lavoro di tempo predefinito, si tiene traccia degli stessi e del lavoro realizzato durante questi blocchi in modo da avere sempre sotto mano la situazione, stabilendo anche checkpoint e goals intermedi e finali.
Un altro rituale per focalizzarsi su un lavoro è quello di definire uno spazio fisico o mentale che avverta gli altri (ed il nostro cervello) che è tempo di lavorare e che non siamo disturbabili…
Dalla porta chiusa dell’ufficio all’uso delle cuffiette fino al recarsi in un ambiente diverso dal solito (una sala riunioni, una biblioteca) per poter lavorare profondamente e senza interruzioni al proprio progetto.
Questo approccio di monotasking è utilizzabile non solo nell’ambiente lavorativo ma anche per le proprie passioni e frequentazioni, compreso l’uso dei social network.
In merito a questo argomento, in Deep Work l’autore propone due approcci:
Utilizzo consapevole. Voglio utilizzare Facebook?
Perfetto, decido una finestra di tempo ed uno scopo da ottenere (vedere aggiornamenti sugli amici, cazzeggiare un po’, etc) questo per non finire a trascorrere ore girovagando in casa Zuckenberg, entrando in discussioni politiche, calcistiche o di altro inutili o ancor peggio seguendo qualsiasi link che sembra interessante ed attrattivo
Di distacco. Stabilisco un numero di giorni in cui non li userò per niente.
Al termine del periodo mi chiederò:
La mia vita ha subito un peggioramento durante questo periodo o viceversa?
La mia non-presenza mi ha fatto perdere qualcosa di importante?
Ultimo suggerimento dell’autore è quello di cercare di pianificare, per quanto possibile, tutta la propria giornata, dalla sveglia fino al momento di andare a dormire in blocchi di 30 minuti.
La pianificazione non dovrà essere tassativa ne eseguita fiscalmente ma se applicata con buonsenso ci permetterà di ottenere le cose che desideriamo veramente, senza sprecare il nostro tempo in attività vuote, riempite da routine instaurate dalla noia (quante volte ci troviamo a scorrere per ore i nostri social o a “scarrellare” da un canale all’altro).
Pianificando la giornata al mattino o la sera prima sarà possibile dedicarsi a quello che si ritiene importante veramente, anche nel proprio tempo libero, che sia un buon libro, una puntata di una serie tv o qualsiasi altra cosa.
Il messaggio chiave in questo libro:
Le distrazioni sono ovunque nel mondo moderno dove il multitasking è diventato il nostro stato di default e sta uccidendo la nostra produttività.
La buona notizia è che possiamo riprendere il controllo del nostro tempo eliminando le distrazioni e lasciando che il nostro cervello si concentri su un compito alla volta.
Non sono un nativo digitale e lo considero una fortuna, perché questo mi ha permesso di comprendere dall'esterno il grande potenziale della comunicazione online. Comunicare online, significa abituare il pensiero a riconnettersi al mondo reale per far leva su ciò che vogliamo migliorare del nostro mondo digitale: perché il marketing non'è più una questione di ciò che produci, ma della storia che racconti; il cliente non si cerca, si attrae
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